- 19 Novembre 2021
- Posted by: Consenso Europa
- Categoria: Economia, Politica

L’incontro tra Draghi e Modi, il ruolo dell’India nello scacchiere internazionale e nella lotta ai cambiamenti climatici, i rapporti commerciali e i potenziali investimenti per le imprese italiane. Una lunga intervista che l’Ambasciatore italiano in India, Vincenzo De Luca ha rilasciato a Consenso Europa ci porta ad approfondire le relazioni tra i due Paesi e a dare la giusta lettura dei comportamenti che il governo indiano ha tenuto in queste settimane tra il G20 e la Conferenza Onu sul clima di Glasgow. In sintesi, su tutti i fronti, il messaggio è fiducia.
Ambasciatore, da tempo le relazioni e i rapporti commerciali tra Italia e India hanno ritrovato nuova linfa, dopo un periodo non facile tra i due Paesi. Di fondamentale importanza si è rivelato il recentissimo vertice del G20 di Roma che ha contribuito a rafforzare la cooperazione tra i due paesi grazie anche a un incontro molto cordiale tra il Presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi e il Primo ministro indiano, Narendra Modi.
Il G20 di Roma e la bilaterale Draghi-Modi a margine hanno testimoniato, ancora una volta, come i rapporti Italia-India siano ormai orientati al consolidamento e all’ulteriore rafforzamento di una partnership strategica nei settori chiave della transizione energetica, della manifattura avanzata, del contrasto alla pandemia e della difesa. Tale prospettiva era stata già delineata in occasione delle visite di vertice che si sono susseguite nel 2017 e nel 2018, e successivamente rilanciata in occasione del vertice virtuale tra i due primi ministri del novembre 2020 dove sono stati enucleati, in un Piano di Azione quinquennale, obiettivi di cooperazione di medio periodo. I più recenti incontri hanno confermato tale impostazione. Anche nell’ambito del G20, e più in generale nei consessi multilaterali, Italia e India trovano dei punti di convergenza solidi e si distinguono, in particolare, per la promozione di un multilateralismo efficace in grado di affrontare, in maniera incisiva, le sfide globali. Il Vertice del G20 di Roma ha prodotto risultati importanti per diverse ragioni. Tra gli altri, ha riconosciuto l’esigenza di affrontare le sfide fiscali derivanti dalla digitalizzazione dell’economia. Si tratta di un risultato storico che costituisce un tassello verso la definizione di un sistema fiscale internazionale più stabile ed equo. L’India ha contribuito in modo significativo a questo particolare aspetto.
Nei prossimi due anni avremo un G20 orientale. Tra poche settimane sarà infatti il turno della presidenza indonesiana, mentre nel 2023 toccherà proprio all’India guidare il Summit dei grandi del Mondo. Ci sarà un cambio di paradigma secondo lei?
Con molta probabilità la presidenza Indonesiana del G20 continuerà a fare i conti con le conseguenze della pandemia. Non conosciamo ancora le agende, ma è prevedibile che ci si concentri, da un canto, sul contrasto all’avanzata del virus, dall’altro, sulla ripresa economica dei paesi. Un elemento in comune che avranno le “presidenze orientali” sarà certamente il tema del cambiamento climatico. In quest’ottica, sarà cruciale accompagnare la transizione energetica nei paesi in via di sviluppo con sostegno finanziario e condivisione di tecnologie, così come lo sarà la partecipazione dei paesi più avanzati al processo di abbattimento delle emissioni di Co2.
La strada per raggiungere un accordo che consenta di azzerare le emissioni nel 2050 e di diminuire di un grado e mezzo la temperatura è irta di ostacoli. Prima il leader cinese Xi Jinping manda un messaggio al summit della Cop26, poi il portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin critica gli Usa, per l’inquinamento del passato, sostenendo che le emissioni storiche sono otto volte quelle della Cina. Il Premier indiano Modi alla Conferenza Onu di Glasgow smorza gli entusiasmi dei presenti, soprattutto delle Ong e degli ambientalisti, quando annuncia l’impegno del Paese a raggiungere l’obiettivo delle emissioni zero solo nel 2070. Può darci una lettura della strategia del governo indiano nella lotta ai cambiamenti climatici?
Bisogna partire dal presupposto che la transizione energetica per paesi come Cina e India è un processo difficile. Nel futuro ci si attende una più rapida attuazione degli impegni presi ma anche un maggiore presa di responsabilità sia dei paesi emergenti che dei paesi più avanzati. Tale responsabilità non potrà prescindere da una maggiore propensione dei paesi avanzati agli investimenti e al trasferimento di tecnologia ai paesi in via di sviluppo.

Glasgow ha ottenuto l’importante risultato di riconoscere l’esigenza di contenere il riscaldamento globale a 1.5 gradi centigradi e questo non era scontato.
Tuttavia, il governo locale di Nuova Delhi è dovuto intervenire nei giorni scorsi con una decisione drastica annunciando che, a causa dell’alto tasso di inquinamento dell’aria, tutte le scuole sarebbero restate chiuse per una settimana. Non un bel biglietto da visita per allungare i tempi delle scelte sull’ambiente.
L’India sta fronteggiando da anni l’emergenza dell’inquinamento atmosferico, in particolare a Delhi e in alcune altre grandi aree metropolitane. I livelli di inquinamento raggiungono picchi tossici nei mesi invernali, sia per effetto della maggiore domanda di energia prodotta da centrali a carbone, sia per effetto della pratica dell’incenerimento delle stoppie da parte dei contadini che preparano il terreno alle successive colture. Quest’anno per la prima volta, Delhi ha preso la decisione di limitare la mobilità su strada nel tentativo di abbattere l’inquinamento in città. Questo è un chiaro segnale della maggiore consapevolezza che sta maturando nelle autorità centrali e locali circa i rischi sanitari in cui incorre una popolazione esposta a inalazioni tossiche. L’auspicio è che la maggiore propensione a transitare verso un’economia verde e sostenibile contribuisca significativamente al livello di benessere e di salute della popolazione indiana.
L’India ha 1,3 miliardi di abitanti ed è seconda solo alla Cina per grandezza dell’economia tra i mercati emergenti e per popolazione a livello mondiale. La recessione globale legata all’impatto della pandemia ha rappresentato una brusca battuta d’arresto per l’India. Com’è la situazione oggi?
Dall’avvio della pandemia da Covid-19 l’India è stata colpita da due ondate di contagi a cui le autorità indiane hanno risposto con provvedimenti di serrata di diversa intensità. Nell’anno fiscale scorso (marzo 2020 – aprile 2021), nonostante il Prodotto interno lordo sia diminuito del 7,3 per cento in termini reali, le risposte adottate dalle autorità di politica fiscale e monetaria sono risultate efficaci nel contenere gli effetti delle restrizioni sugli strati più vulnerabili della popolazione e hanno assicurato un’adeguata liquidità sui mercati finanziari.
Secondo le stime più recenti del Fondo Monetario Internazionale nell’anno fiscale corrente il prodotto interno lordo indiano crescerà del 9,5 per cento in termini reali (+8,5 nell’anno fiscale 2022-2023) a fronte di previsioni leggermente più conservative da parte degli analisti privati. Nei primi sei mesi dell’anno fiscale in corso, che terminerà a marzo 2022, vi è stata una ripresa nella manifattura e nelle costruzioni. La ripartenza delle attività legate ai servizi sta richiedendo più tempo, anche in connessione con la seconda ondati di contagi (marzo – maggio 2021) e il divieto di ingresso ai turisti stranieri; che è stato gradualmente rimosso solo a partire da novembre. I segnali positivi sono diffusi ma dovranno consolidarsi nei prossimi mesi non essendo ancora possibile escludere nuove ondate di contagi e la prosecuzione delle pressioni inflazionistiche indotte dal rialzo dei costi delle materie prime (soprattutto energetiche). Ciononostante il sentiment degli investitori è in questa fase positivo. Per le prospettive di crescita nel medio-lungo periodo occorre tener conto di due elementi. Il primo sono i dati relativi all’andamento della campagna di vaccinazione contro il Covid-19; a oggi quasi il 30% della popolazione ha ricevuto due dosi di vaccino e circa il 55% almeno una. Inoltre, anche durante l’emergenza sanitaria l’India ha proseguito nell’introduzione di riforme strutturali importanti (mercato del lavoro e agricoltura) e ha annunciato sia un piano di privatizzazioni sia l’intenzione di dare in concessione ai privati numerose infrastrutture. L’uscita dall’emergenza sanitaria e le riforme annunciate possono favore una crescita sostenuta e inclusiva dell’economia indiana.
Ci sono le condizioni per le imprese italiane di poter investire in India? E in quali settori soprattutto?
Certamente ci sono le condizioni per investire in India e ne è dimostrazione il fatto che, secondo dati UNCTAD, nel 2020, a fronte di un crollo del 42% degli Investimenti Diretti Esteri nel mondo, l’India ha fatto registrare un +13%, con un particolare traino dell’economia “digitale”. Anche per quanto riguarda l’Italia, abbiamo constatato dall’inizio della pandemia una volontà di scommettere sull’India, con 14 nuovi investimenti in molteplici settori: dall’energia rinnovabili all’automotive, dall’alimentare alla cosmetica. Inoltre, voglio ricordare un’indagine della nostra Camera di Commercio dalla quale emerge che la maggior parte delle imprese italiane che hanno sospeso i loro programmi di investimento per Covid-19 sono intenzionate a riprenderli già dal 2022 o, comunque, non appena sarà possibile. Infine, mi fa piacere menzionare un meccanismo che l’Ambasciata ha messo in piedi con Investindia, l’Agenzia governativa indiana per l’attrazione degli investimenti: la Digital Platform. Si tratta di uno strumento particolarmente efficace che ha consentito a diversi investitori, sia grandi che medio-piccoli, di instaurare un dialogo diretto con le Autorità locali per risolvere i piccoli, grandi problemi a cui tutti gli investitori vanno incontro. Vendendo ai settori, direi che sono molteplici. Credo, però, che le opportunità maggiori ci saranno soprattutto in quelli che intercettano le esigenze indiane (solo per citarne alcune: transizione energetica, sostenibilità, miglioramento delle qualità delle produzioni locali). Si tratta peraltro di ambiti in cui le aziende italiane (macchinari e industria 4.0 in primis), hanno soluzioni di altissima qualità da offrire.
A cura di Stefano Di Traglia