Intervista alla Presidente della commissione Ambiente della Camera Alessia Rotta: “Su cambiamenti climatici dare più peso a Parlamenti e società civile”


Mai come in questo periodo il tema dell’ambiente, del clima e delle azioni necessarie per salvaguardare il futuro del nostro pianeta sono state al centro dell’agenda politica mondiale. L’Italia, anche grazie alla pre-Cop26 che si è tenuta a Roma nelle settimane scorse, e alla presidenza italiana del G20 svoltosi per la prima volta in Italia pochi giorni fa, è tra i protagonisti di questo dibattito. Di tutto ciò Consenso Europa ne ha parlato con la Presidente della Commissione ambiente e territorio della Camera del Deputati, Alessia Rotta, che per il Parlamento italiano sarà relatrice proprio in queste ore alla Conferenza Onu sui cambiamenti climatici, in corso di svolgimento a Glasgow, in Scozia.  

Alcune settimane fa si è svolta a Roma la pre-Cop 26. Qual è il ruolo che i Parlamenti di tutto il mondo possono avere nella battaglia per il clima e nell’attuazione degli obiettivi ambientali previsti dall’Accordo di Parigi e dall’Agenda 2030?

I Parlamenti – come risulta nella dichiarazione finale della conferenza parlamentare di Roma dell’8-9 ottobre che sarà approvata definitivamente nella riunione parlamentare a Glasgow del 7 novembre – rivendicano un maggiore ruolo, ad esempio adottando sistemi di valutazione di impatto climatico della legislazione (già approvata o in via di approvazione) e rappresentare, anche mediante l’uso di strumenti innovativi (piattaforme digitali ecc.), la sede per il coinvolgimento civico sulle questioni climatiche, specialmente per le giovani generazioni e le fasce sociali più vulnerabili. In questo senso, anche l’abbassamento dell’età per il diritto di voto può rappresentare un mezzo per raggiungere l’obiettivo di fare dei giovani i protagonisti della sfida climatica. La dichiarazione ha recepito il maggior numero possibile di osservazioni e sollecitazioni provenienti da tutti i Parlamenti, avendo come obiettivo principale quello di tenere alto il livello di ambizione delle conclusioni e la ferma consapevolezza della necessità di soffermare l’attenzione, in questo momento così cruciale nella lotta alla crisi climatica, sulle questioni di rilievo transnazionale che ancora oggi, al di là degli sforzi pur apprezzabili fatti registrare dai singoli Paesi, rimangono irrisolte e costituiscono un ostacolo drammatico nel percorso obbligato verso la neutralità climatica entro il 2050.

Lei è presidente della commissione Ambiente e territorio della Camera dei deputati e relatrice della Cop26 per il Parlamento italiano, a Glasgow. Che posizioni sosterrà il nostro Paese?

L’Italia può svolgere un ruolo chiave sia in seno all’UE (dove aver beneficiato della quota maggiore del Recovery Fund la porta a disporre di risorse ingenti per la transizione verde e ad assumere quindi una posizione di testa nella lotta al cambiamento climatico) sia a livello mondiale (Draghi ha annunciato che l’Italia aumenterà il suo contributo nell’ambito dei 100 mld di cui sopra) soprattutto dopo il G20 di Roma. Come affermato dal presidente del consiglio, Glasgow deve andare oltre il G20 nel senso che deve dare attuazione alle promesse che sono state lì tracciate in relazione alla costituzione di una Task force mondiale per cogliere l’enorme disponibilità dei fondi privati; il sostegno ai paesi in via di sviluppo; Investire in tecnologie innovative. I punti che saranno oggetto della COP26 di Glasgow sono il phasing out dal carbone (con le resistenze di Cina e India), scadenze temporali comuni per gli NDC (lo chiede l’UE), maggiori sforzi per l’adattamento climatico, la finanza climatica (con l’attivazione dei capitali privati per la riconversione ecologica dell’economia e l’impegno dei paesi sviluppati a mobilitare annualmente 100 mld $ per i paesi meno sviluppati) e finalizzare il Rules Book dell’accordo di Parigi (ossia adottare le regole per una sua piena attuazione). E’ notizia di queste ore che l’Italia insieme ad altri ventiquattro soggetti tra stati e istituzioni (fra i quali gli Stati Uniti) ha firmato un documento alla Cop26 con cui si impegna a porre fine a ogni nuovo sostegno pubblico diretto per il settore energetico delle fonti fossili non abbattute alla fine del 2022, tranne in limitate e  chiaramente definite circostanze, che siano coerenti con un  limite di riscaldamento di 1,5 gradi e con gli obiettivi  dell’Accordo di Parigi.

I cambiamenti climatici, entro il 2030, potrebbero causare circa 250.000 decessi in più ogni anno per malaria, malnutrizione, stress da ondate di calore. Il G20 fissa come proprio obiettivo il contenimento dell’aumento delle temperature globali entro 1,5 gradi. Esiste un rapporto tra le mutazioni del clima e l’insicurezza alimentare a livello planetario? Sembra che ancora oggi non tutti ne siano consapevoli.

Il contrasto alla fame nel mondo e la necessaria transizione verso la sostenibilità dei modelli e dei sistemi agricoli alimentari è una priorità ineludibile. Come ha ricordato Maurizio Martina, vice direttore generale della FAO, le partite della democrazia alimentare, del diritto al cibo, dell’equità, della giustizia alimentare impegnano e riguardano tutti. Nessuno escluso. Sono sfide che ci aspettano e alle quali non possiamo sottrarci. La strada per l’Italia è comunque tracciata da EXPO 2015 in cui sono stati posti questi temi connessi alla sicurezza alimentare ed alla sostenibilità dei processi produttivi.  Uno degli obiettivi fondamentali dell’Agenda di sviluppo sostenibile è ‘fame zero’, che oggi appare più lontano. È ancora possibile raggiungerlo entro il 2030, ma solo a patto che si raddoppino gli sforzi nei pochi anni che abbiamo davanti a noi. Dobbiamo però essere realisti: senza un deciso cambio di marcia, l’obiettivo verrà mancato. Molto dipende dalle decisioni della comunità internazionale e da come andranno le discussioni di queste ore. E’ necessario assolutamente tenere il punto, dando il massimo, senza risparmiarsi. La produzione agroalimentare è tra i principali fattori di incremento del riscaldamento globale. Nei Paesi più sviluppati, il cambiamento radicale delle scelte e del comportamento alimentare dei consumatori può essere decisivo per vincere la sfida del millennio. Un rapporto Fao della scorsa primavera ha misurato come la gestione forestale da parte delle comunità native porti risultati migliori di ogni altro strumento di protezione. Non a caso in questi giorni dalla Cop 26 arriva l’impegno concreto di 114 paesi per fermare la deforestazione entro il 2030. A margine c’è chiaramente l’impegno delle società finanziarie per fermare gli investimenti legati alla deforestazione e quello dei paesi a rimuoverla dalle filiere di prodotti come olio di palma, soia e cacao. Manca ancora un chiaro impegno per quel che riguarda gli allevamenti, che resta uno dei punti problematici.

Eppure non possiamo negare che in Africa, in India e in Cina, ad esempio, molti villaggi e milioni di persone non abbiano ancora l’accesso all’energia elettrica e che accendere un lampione, poter cucinare o mantenere il cibo possa significare per una parte importante del mondo, spesso la più povera, la possibilità di sopravvivere. Una contrapposizione con l’occidente che rischia di rendere poco credibile l’impegno sul clima.

Come ci ha ricordato da Cop26 la rappresentante speciale dell’Onu per l’energia sostenibile, Damilola Ogunbiyi, ci sono nel mondo 759 milioni di persone senza elettricità e 2,6 miliardi di persone senza sistemi puliti per cucinare, anche se la produzione energetica è responsabile di 2/3 delle emissioni di gas serra. Quindi l’impegno è di tagliare drasticamente le emissioni, ma anche fornire a tutti entro il 2030 energia pulita ed affidabile. La cosiddetta finanza per il clima è considerata una questione chiave per creare fiducia tra i Paesi che hanno storicamente inquinato di più e quelli che pur inquinando poco stanno subendo le conseguenze più devastanti di eventi climatici estremi. Come i paesi africani, responsabili solo per il 2-3% delle emissioni antropiche globali. Per questo è assolutamente necessario raggiungere il target di aiuti promessi dalle nazioni ad alto reddito che si sono impegnate a donare 100 miliardi di dollari all’anno nel periodo 2020-2025 per aiutare i Paesi a basso reddito. Tuttavia il target ad oggi non è stato ancora raggiunto. L’Ocse ha riferito che nel 2019 i donatori hanno contribuito con 79,6 miliardi con una mancanza di oltre 20 miliardi di euro. I Paesi in via di sviluppo sono alle prese con debito e crisi di liquidità e per questo devono essere sostenuti. Come emerso dal G20 il ruolo delle banche di sviluppo pubbliche e multilaterali devono aumentare in misura significativa i propri portafogli climatici per sostenere la transizione in atto.

La Presidenza italiana del G20 ha voluto coinvolgere le diverse espressioni della societa’ civile e in particolare i giovani. “Noi siamo debitori nei loro confronti”, ha detto il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella davanti ai leader del mondo. “Non dobbiamo consegnare a chi verrà dopo di noi un pianeta solcato da conflitti, le cui risorse siano state dilapidate, il cui ecosistema sia stato compromesso per l’egoismo di chi è stato incapace di coniugare la legittima aspirazione alla crescita economica e sociale con l’esigenza di tutelare ciò che non ci appartiene”. Le parole di Greta, i bla bla bla che denuncia hanno un impatto molto forte sulle nuove generazioni.

La pacifica ma energica e severa protesta, la presa di posizione dei giovani rappresenta una spinta necessaria nel processo della transizione. Segna l’urgenza del nostro tempo: le generazioni future non si accontentano di promesse vaghe, ma pretendono la restituzione del maltolto: il loro futuro. Credo che l’impatto della loro voce sarà molto forte. In questo senso bene ha fatto il governo italiano a confermare l’appuntamento di Youth for climate come appuntamento fisso in Italia a prescindere dalla Cop. D’altra parte il Piano nazionale di ripresa e resilienza e le sue inedite risorse non riguardano solo la transizione verde e digitale, ma la parola resilienza del piano chiama l’Italia proprio a questo: a ridurre le grandi disuguaglianze del nostro paese: quella generazionale è una delle fratture da sanare.

A cura di Stefano Di Traglia

(Nella foto Alessia Rotta con Alex Sobel, che presiede la Commissione ambiente in Gb ed entrambi relatori alla Cop26 per i rispettivi Parlamenti.) 




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