- 13 Ottobre 2020
- Posted by: Consenso Europa
- Categoria: Lavoro
Da forma innovativa di organizzazione del lavoro, che in Italia faticava a farsi largo tra normative e prime sperimentazioni in verità piuttosto limitate, a soluzione emergenziale adottata nel pieno della crisi pandemica su scala nazionale: lo smart working è ormai uno strumento imprescindibile, che evita a migliaia di aziende e a numerosi uffici pubblici l’interruzione delle attività a causa del Sars-Cov-2.
Il cosiddetto lavoro agile è senza dubbio il tema del momento: perché al centro del dibattito che coinvolge gli addetti ai lavori, tra sindacati, organizzazioni datoriali e governo che discutono su come superare la fase d’emergenza e renderlo dispositivo stabile di organizzazione dell’attività lavorativa, e perché tocca la vita quotidiana di milioni di persone (8, per la precisione, secondo una stima elaborata da uno studio condotto da CGIL e Fondazione Di Vittorio pubblicato a maggio di quest’anno).
È disciplinato dalla legge 81 del 2017, che lo definisce come una “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività.” Si tratta dunque di una prestazione lavorativa svincolata dal luogo fisico in cui svolgerla, dal rispetto di un determinato orario di lavoro, e dal controllo diretto del datore di lavoro.
In particolare, la legge 81/2017 prevede che le condizioni specifiche di espletamento delle mansioni siano stabilite in un accordo individuale e scritto tra dipendente e datore di lavoro che, tra le altre cose, deve regolare l’esecuzione della prestazione lavorativa, garantire i tempi di disconnessione, fissare l’esercizio del potere di controllo da parte del datore di lavoro e individuare le condotte sanzionabili dal punto di vista disciplinare.
Come detto, la pandemia ha accelerato la diffusione di questa modalità di lavoro, anche grazie ai decreti del governo che ne hanno semplificato l’adozione eliminando la necessità dell’accordo con il lavoratore e di fatto demandandone la scelta alla sola azienda. Ora, il perdurare dell’emergenza sanitaria ha interrotto il graduale ritorno in ufficio che settore privato e Pubblica Amministrazione avevano già avviato prima dell’estate. E di qui ai prossimi mesi le regole che ne determinano l’applicazione continueranno ad avere – di fondo – la logica di temporaneità e straordinarietà dovuta alla corrente fase di crisi epidemica.
Ma appare diffusa la consapevolezza che indietro alla fase precedente l’epidemia, quando i lavoratori in smart working toccavano a malapena le 500 mila unità, sarà piuttosto difficile tornare. E, di fatto, neanche auspicabile. Tuttavia, non tutte le attività possono essere svolte da remoto, naturalmente, e la presenza fisica dei lavoratori è spesso importante per la produttività (e, dunque, il fatturato) di un azienda anche per interi settori del terziario.
Di qui la necessità di individuare le giuste modalità di applicazione di questo strumento. E di ulteriori interventi che segnalati come fondamentali a rendere davvero lo smart working uno mezzo di concreta innovazione del lavoro. Tra le diverse misure, spicca in particolare quella che le parti sociali ritengono come più urgente: la revisione dei contratti nazionali che miri a cambiare il paradigma della retribuzione del lavoratore, legandola non più agli orari della presenza in ufficio ma agli obiettivi da raggiungere. Una richiesta che segnala anche l’obiettivo di dare maggior peso alla contrattazione collettiva (e dunque a sindacati e organizzazioni datoriali) nella definizione delle modalità di lavoro agile, oggi riservate per legge agli accordi individuali tra lavoratore ed azienda.
Ma non si tratta di sole questioni regolamentari. Come facilmente intuibile, occorre accelerare ed investire sui processi di digitalizzazione delle aziende e degli uffici pubblici, per garantire il mantenimento e l’incremento dei livelli di produttività ed efficienza anche con oltre metà del personale a lavoro da remoto (nei mesi scorsi, ad esempio, non sono mancate segnalazioni di gravi disservizi da parte di diversi uffici della Pa). E dall’altro versante è sempre più avvertita la necessità di sanare le condizioni di divario digitale che vivono diverse aree del paese, nelle quali non è sempre garantito l’accesso diffuso e quotidiano ad una connessione stabile e funzionale.
Insomma, un percorso ancora lungo e difficile, ma che si può compiere sfruttando la fase d’emergenza allo scopo di volgere in positivo i cambiamenti che stanno incidendo non solo sull’organizzazione interna di uffici pubblici e privati, ma anche sulla vita quotidiana di milioni lavoratori e persino delle nostre città.